Ab Normal
Ritorno a casa (the magic power of tv)
Parte prima: Asfalto
Percorriamo Via Divisione Acqui con gli occhi spalancati e i colli allungati in
avanti come tartarughe, diretti alla Stazione Ecologica “Calamita”.
“Dove cazzo è Via dello Sport?” mi chiede il Giangi.
“Boh, dovrebbe essere a sinistra tra un po’...”
“Che nome scemo Via dello Sport.”
“Vai piano, che siamo tutti e due senza patente.”
“Lo so mamma, faccio i 40...”
Ai 40 all’ora Via Divisione Acqui emana un leggero ma persistente senso di
tristezza, nonostante le aiuole nuove e le rotatorie con lo sponsor. I nuovi
palazzi di vetro sembrano enormi e invalicabili funghi spigolosi cresciuti
durante la notte.
Il Giangi deve andare a convivere con la Jasmine, e non ha un euro. Jasmine,
che ha vent’anni meno del Giangi e dispone dello stesso patrimonio, è stata
piuttosto chiara nel porre le sue condizioni: “Giangi, stiamo insieme da 3 mesi
e se ti importa davvero di me dobbiamo metterci alla prova, dobbiamo andare
a convivere”. Il Giangi, che come me è già entrato negli “anta” da un po’, ha
voluto dimostrarle quanto questo progetto fosse possibile e le ha detto,
guardando dritto l’asfalto: “Ok”.
L’”Ok” è rimasto sospeso fra asfalto e l’eternità per un po’, come succede
sempre alle notizie clamorose, ai “Ti amo” e agli scarichi delle automobili. Nel
caso del Giangi (ero presente e posso riferirlo), la cosa è apparsa un insieme
delle tre possibilità: un po’ notizia clamorosa, un po’ dichiarazione d’amore,
un po’ nuvoletta grigia e mefitica, portatrice di guai.
Per affrontare la sostenibilità economica dell’impresa da compiere, il Giangi
ha intrapreso quella che ha chiamato la “Via dei Piccoli Passi”. Ovvero: risolvo
prima le cose più facili, poi mi occupo di quelle più difficili. Tradotto in una
lingua comprensibile a chi non frequenta il GiangiWorld, questo significa:
“Come pagare l’affitto non ne ho la minima idea, ma comincio col risolvere il
primo problema: la tv”.
Da qui l’input iniziale, che il Giangi mi lancia come un calzino sporco non
appena la Jasmine porta il suo grosso culo sufficientemente lontano: “Veh, te
sai dove trovare dei tv vecchi?”
“Vecchi quanto?” gli chiedo io.
“Vecchi ma che vanno.”
“Beh, potremmo prendere quello di mia nonna...”
“Ma tua nonna poi rimane senza...”
“Ma lei ha la pensione, tu no. Poi se ne compra un altro.”
La soluzione, pragmatica ed efficace, riluce nella sua perfezione per un po’,
come una lampadina appesa nel niente del pomeriggio. Finché non arrivano
varie considerazioni: sulla immoralità della simulazione di un furto alla
nonna, il rischio di infarto alla medesima, la già non limpida fedina penale di
entrambi, i primi ad essere sospettati. Poi, dai, fa troppo caldo per rischiare...
La luce della fulgida lampadina si spegne.
“Ma se provassimo a riciclarla?” dico io.
“Da un ricettatore? Io conosco quel tipo, Coso, ...”
“Nooo Giangi. Riciclarla dai rifiuti...sai quante ce ne sarà che vanno ancora?
Chi ha i soldi butta sempre via roba che funziona.”
La lampadina si riaccende. Questa volta stiamo a vedere quanto sta accesa. Il
tempo che Jasmine Grosso Culo torna, chiacchera a mitraglia col Giangi sul da
farsi serale, e se ne sparisce di nuovo. La lampadina è ancora là, che risplende.
“Boh, mi sembra una buona idea... dimmi te... il problema è tuo.”
Giangi continua a guardare l’asfalto, come se tra le rugosità del catrame e
della ghiaia potesse leggere la risposta.
“Dai, fam acsè...”
Parte seconda: i soliti cazzoni
Prima di partire elaboriamo un piano semplice semplice: arriviamo dopo
l’orario di chiusura a un’isola ecologica lontana, tipo Modena, dove non ci
conosce nessuno; scavalchiamo e ravaniamo fra i rifiuti delle cose
elettroniche, troviamo qualcosa di dignitoso, e bona lè, si riparte. Saremo
come quegli insetti che si cibano di carcasse, contribuendo all’equilibrio
naturale. Niente di più sano...
Su “Tuttocittà” Via dello Sport è una specie di ferro di cavallo rovesciato,
appoggiato sul lungo serpente di Divisione Acqui. Faccio segno al Giangi di
girare a sinistra e arriviamo al cancello basso della Stazione Ecologica.
Parcheggiamo più avanti, controlliamo che non ci sia nessuno e usiamo il
cofano della macchina del Giangi per scavalcare. Noto che a forza di usarlo in
questo modo si è formato nel cofano una sorta di avvallamento, come quello
che col tempo si forma nei materassi.
Dentro la Stazione è ordinata, pulita, silenziosa, come un Cimitero Comunale
delle Cose Morte. Con passo composto e rispettoso, guardando in giro per
curiosare fra le facce dei defunti, passiamo davanti al grande cassone degli
Inerti da piccole demolizioni, alla pila degli Pneumatici (davanti alla quale
spendiamo una piccola sosta), agli Sfalci, col loro delicato odore di legno, e
finalmente entriamo sotto un piccolo capannone interamente dedicato ai
“Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (R.A.E.E.)”. Accatastati in
tante gabbie di metallo, incontriamo silenziosi frigoriferi di tutte le forme,
condizionatori sgangherati, mucchi di telefonini e finalmente le tv.
“Oh, ma fanno cagare...” dice triste Giangi guardando la pila dei vecchi
schermi.
“Beh, le dici che hai cercato apposta una tv vintage, e l’hai pagata un sacco di
soldi!” ribatto io
Il Giangi mi getta un rapido sguardo da rapace e si rianima, iniziando a
cercare fra le tv quella ridotta peggio.
“Più è vecchia e più è figa, giusto?”
“Daboun...” gli rispondo, mentre passo a esaminare un'altra gabbia.
Individuiamo un Grundig signorile, maestoso ed elegante, in fondo a una
pila. Con voracità svuotiamo la gabbia di metallo, gettando le altre tv sul
cestone quasi vuoto dei microonde.
Poggiamo il Grundig al suolo e per un po’ lo contempliamo, immobili, come
risucchiati da una sorta di varco temporale aperto nel cervello.
“Figo, no?”
“Sì, davvero figo Giangi...”
Davanti lo schermo è intatto, manca solo il pomello del volume e un tasto per
dare più colore. Mentre manca del tutto il coperchio di plastica posteriore,
quello che copre il tubo catodico. Sono in bella vista il grosso bulbo di vetro e
tutte le altre interiora elettroniche, indecifrabili connessioni che io e il Giangi
sfioriamo quasi a stabilire un contatto umano.
“Ma come facciamo a sapere se funziona?” dico io.
Durante il tragitto mi ero messo a pensare a come risolvere il problema, ma il
caldo e lo scorrere delle cose fuori dall’abitacolo evidentemente mi hanno
distratto...
“Dobbiamo trovare una presa di corrente... dice il Giangi allontanandosi
verso l’uscita secondo me nel gabbiotto del custode c’è, che tanto quello
non fa un cazzo e si ascolta di sicuro la radio o cazzeggia col portatile.”
Mentre osservo il Giangi scavalcare la recinzione, penso che l’Amore è
davvero il motore del mondo, capace di fare uscire ogni organismo, Giangi
compreso, dalla propria inevitabile inerzia. Almeno per un po’.
Giangi torna col piede di porco che tiene nel baule. Con un colpo solo forza
la porta del gabbiotto e siamo dentro, fra scartoffie ordinate, un pc, una
moka, un calendario da meccanico. Torniamo col vecchio Grundig, a piccoli e
prudenti passettini, e lo poggiamo sulla scrivania del custode.
Armeggiamo con una prolunga ed ecco fatto, pronti alla prova. Poco prima di
pigiare il pulsante d’accensione mi viene un dubbio.
“Giangi...”
“Eh...”
“Ma ormai c’è il digitale terrestre, come facciamo a sapere se questo cesso
prende effettivamente i canali? Micca abbiamo il decoder...dovevamo
portarcene uno...e poi non c’è neanche la presa dell’antenna...”
“...Cazzo, hai ragione...” mi risponde desolato il Giangi, dopo un lungo
attimo di cupa riflessione tecnica.
Rimaniamo lì, in silenzio, sudati e con le braccia a penzoloni, assieme alla
consapevolezza di essere ora e sempre degli invincibili cazzoni.
“Andiamo va’...lasciamo qui sta merda di tv, che rischiamo di portare via un
rottame e basta...” conclude il Giangi con la faccia rivolta a terra, tirata come
la pasta della pizza, quella che ha di solito dopo aver fatto un numero di
merda dei suoi.
Parte terza: il focolare ritrovato
Ci muoviamo per uscire dal gabbiotto quando senza accorgermene pigio col
pollice il tasto di accensione del Grundig. Non ci faccio caso finché dopo due
passi non sentiamo un rumore analogico, come un deglutire elettronico,
seguito immediatamente da un sibilo e quindi da una voce umana che ci
raggela. Non può essere altro che lui. E’ Enzo Tortora che presenta Portobello.
Ci giriamo di scatto e lo vediamo lì, a colori, l’Enzo della nostra perduta
infanzia che parla con un concorrente. Impietriti sulla soglia, ascoltiamo. Il
concorrente è un tizio a cui è venuto in mente di abbattere un monte vicino a
San Marino per fare sparire per sempre la nebbia dalla Valle Padana. Come
aprire una porta per fare uscire il fumo, spiega. Enzo Tortora rimane
impressionato dall’idea, congeda il concorrente con la consueta eleganza e dà
inizio alle telefonate.
Io e Giangi, increduli, istintivamente ci avviciniamo barcollanti alla vecchia tv
come due viandanti si avvicinano a un focolare, stremati, dopo un lungo
viaggio. Enzo Tortora ha stappato del tutto il varco temporale e le nostre
menti sono ormai sopraffatte dal caldo, tenero abbraccio del passato. Un
passato candido e ingenuo, in cui tutto era ancora da venire e niente era
perduto.
“Che figata Giangi...Portobello...” riesco finalmente a dire, col nodo in gola.
“Ma come fa ad andare ‘sta tv, dove piglia il segnale secondo te?” ribatte il
Giangi che è più sconvolto di me.
“Ma che ne so... so solo che è così bello... lasla ander...”
Ci mettiamo a cambiare canale, sprofondando sempre di più nella nostra
dolce infanzia. Il tempo scorre veloce mentre guardiamo SuperGulp!.
Si fa buio e le nostre sagome prendono forma grazie ai lampi intermittenti
della tv magica. Il silenzio del Cimitero Comunale delle Cose Morte ora è
rotto dalla risata di Joker che sfugge per un soffio all’Uomo Ragno, ora dalla
voce di Mandrake che dà ordini al possente Lothar.
In un frammento di lucidità guardo il Giangi e sembra davvero un bambino di
otto anni, tutto assorto e divertito, nonostante l’inconfondibile faccia sfatta.
Tiene le mani giunte e muove veloce i piedini. Io non devo apparire molto
diverso, e mi sento proprio come lui...
Alla fine di SuperGulp! siamo beatamente esausti. Spegniamo l’aggeggio e ci
prendiamo del tempo per riflettere. Concordiamo che questo vecchio cesso di
Grundig è la droga più strana che abbiamo mai provato. Siamo strippati nel
migliore dei modi ma anche molto confusi. L’aggeggio riesce a farci tornare
davvero bambini, nel vero senso del termine. Ma allora c’è il rischio di
perdere le difese che ci siamo costruiti crescendo, e alla lunga di rammollirci
del tutto. Però è davvero uno strano dolce sballo, non riesci a staccartene,
diowalzer...
“Boh...qui va a finire che usciamo fuori di testa...” sbotto io, ridendoci su.
“Mmm... è davvero fuori come trip... e poi è tutto paranormale... prende i
canali dal passato, ti rendi conto?...” concorda il Giangi scuotendo la testa,
mentre spegne a terra l’ennesima sigaretta.
“Tanto la Jasmine, che è nata ieri l’altro, non se ne fa un cazzo di una tv
magica come questa. Che ne sa lei di quegli anni?” gli faccio notare io.
“T’ha rasoun...”
Si decide di lasciarla qui. Ma se poi andiamo in astinenza? Ormai ci siamo
dentro... mica possiamo tornare qui tutte le volte per farci un viaggio
nell’infanzia...
Nella penombra, seguendo la luce di un lampione, facciamo il tragitto verso la
macchina a piccoli passettini, stando ben attenti a non perdere pezzi della
nostra macchina del tempo. In modo rocambolesco il grosso Grundig finisce
nel sedile posteriore, miracolosamente intatto.
Sulla strada del ritorno tutto sembra essere tornato al triste presente. Ce lo
dicono i moderni Suv che incrociamo, lo schermo del mio smartphone, il
giornale radio che parla di surriscaldamento globale.
Il giorno dopo, lasciata Jasmine dai suoi dopo l’ennesimo litigio, Giangi come
programmato citofona a casa mia. Ci sediamo sul mio letto, davanti a noi la tv
magica manda il Carosello. Di là la nonna sta facendo i piatti insieme a mia
madre.
Tra pochi minuti inizierà il TG1 dell’8 agosto 1979 e nell’attesa il Giangi rulla
una canna.