Mau MacFerrin
L'amicizia

È un fatto di qualche settimana fa. Un mio amico di Facebook – quello
che non hai mai incontrato in vita tua ma che consideri abbastanza
“intimo”, per le storie private che condivide con te e chiunque altro –
pubblica un post in cui racconta di uno spiacevole incontro, capitatogli
mentre faceva rifornimento in una stazione di servizio. Mi intriga, lo
leggo. Il tizio – che chiamerò Felice – è, per quanto ho capito,
individuo pacato e ragionevole, uomo sulla cinquantina più incline alla
meditazione e alla filosofia che all'azione e all'invettiva, più persona di
cultura che d'azione insomma. Ecco la sua descrizione:

Sono lì a riempire il mio solito mezzo serbatoio, con l'occhio fisso sul
contatore perché ho questa mania di fermare la pistola a 30,00 euro tondi
senza averli programmati, quand'ecco che arriva il prepotente di turno o,
quantomeno, uno che gli somiglia di brutto: auto sportiva nera, occhiale
scuro e sigaretta accesa. Sigaretta accesa scendendo dal bolide, sigaretta
accesa alla colonnina del self­service, sigaretta accesa con l'erogatore della
98 ottani in mano. Una faccia già vista, chissà dove. Vado un pelo in ansia,
lo ammetto: lungi dall'essere un attaccabrighe ma scocciato, all'idea che il
quartiere possa saltare in aria per colpa di quella stupida cosa fumante,
rifletto velocemente e decido che un tentativo di dialogo non nuocerà, a
meno di ritrovarmi la canna di una calibro nove infilata fra i denti... dai,
improbabile! Mi rivolgo dunque al fumatore irresponsabile chiedendogli
gentilmente – e non senza una certa verve, ché noblesse oblige... – di
spegnere la sigaretta, considerati gli alti rischi di olocausto idrocarburico e
disastro ambientale, poi in nome della vecchia amicizia che ci lega
entrambi all'esistenza...

No
Un No secchissimo, di quelli che sanno di «rompimi ancora il cazzo e ti
spacco la faccia» più che di «via non esageriamo, per una sigaretta!». Un NO
spiazzante come un gancio destro alla mandibola, che non sai nemmeno
come sia arrivato ma, in qualche modo, è arrivato. E fa male. Prima ancora
di succhiare l'ultima brace del suo ordigno, il fumatore oscuro riprende il
fregio bianco e blu con il volante intorno e sgomma via, volitivo e
tracotante com'era arrivato.

Felice non l'ha presa molto bene: lo si capisce dalla fine del suo post,
dove l'anonimo “arrogante” del distributore scompare in una tempesta
di male parole e pessimi auspici.
“Davvero, bisognerebbe tornare a menar le mani.” Glielo scrivo secco,
convinto, spontaneo; anche se mi conosce così, in modo molto
superficiale. Tornare a menar le mani come una volta, quando chi
picchiava più forte aveva ragione, quando l'uscire vittorioso da una
rissa ti spalancava le porte dell'epica strapaesana, quando a pestare
erano i giusti mentre i bastardi mangiavano la polvere. Perché non è
più come allora? Perché non hai preso il cric dal baule, Felice, e non hai
frantumato i fanali di quell'auto “da spacconi”? Il tuo cric polacco vale
come quello della BMW, sai? Perché hai preferito porti dalla parte della
ragione, Felice, anziché prenderti una grassa soddisfazione, da
raccontare ai tuoi figli, magari sanguinante e con la camicia a brandelli,
ma senza frustrazioni a macerare in fondo all'anima? Perché, gli ho
chiesto. E gli ho spiegato che va preso alla svelta, senza nemmeno
guardarlo, senza concedergli il tempo per intuire, e che basta un colpo
deciso in mezzo agli occhi con la punta delle dita per disorientarlo; poi
lo afferri per il bavero della giacca e lo tiri verso di te, più forte e
brutale che puoi, da fargli sbattere il naso contro la parte bassa della
tua fronte che, in un batter d'occhio, gli si è scagliata addosso come
un'aquila sulla marmotta. Senti appena l'umido del suo sangue che ti
cola sulla pelle e, sempre bloccandolo per gli stracci e sostenendolo –
perché già si regge in piedi per miracolo – gli assesti una, due, tre
rapide ginocchiate nello stomaco. E lo lasci lì steso, a gemere e
gocciolare, a piangere come un bambino, mentre i passanti fingono di
non vedere e proseguono per le loro faccende. Perché sono dei
vigliacchi, ho continuato; perché sono soli anch'essi al cospetto di
Madre Natura, fattrice fredda e per nulla umana. Perché vogliono
tornare a casa senza ossa rotte anche stasera, ho concluso.
Contento dei miei commenti, per una volta; ero riuscito a lasciarmi
andare, a essere sincero, a non recitare del tutto. Insomma, non
abbiamo già abbastanza rogne in questa vita, e un esercito di
rompicoglioni che puntano a metterci i piedi in testa? E basta, no??? La
nonviolenza è la tana del coniglio, ecco cos'è, e quella tana è anche una
trappola. Come lo sono i maledetti social, dove non puoi scrivere
questo, non puoi pubblicare quello, non sei libero dai, cristo! Siamo
“amici” di perfetti estranei, gente che non ci conosce e mai vorrebbe
frequentarci, gente opposta a noi che nemmeno ci ha visti in faccia una
volta e fingiamo, ci atteggiamo, ci mutiliamo e immoliamo su internet
per sembrare un po' intellettuali anche noi, per piacere a chi proprio
non ci piace, per illuderci di esistere. Ma si esiste vincendo le paure, e il
nemico nelle strade. Si esiste davvero mandando a cagare quell'idiota
che invade il tuo spazio per venderti una rosa al pub, si esiste
prendendo a sberle uno sfigato che ti soffia il posteggio la vigilia di
Natale, si esiste dicendo No a chi ti rompe il cazzo perché fumi una
sigaretta mentre fai il pieno alla BMW... anche se poi vieni a scoprire
che è tuo amico su Facebook. Comunque gliel'ho tolta, l'amicizia.

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NESSUN ESSERE UMANO È STATO MALTRATTATO DURANTE LA STESURA DI QUESTO RACCONTO.
OGNI RIFERIMENTO A PERSONE ESISTENTI O A FATTI REALMENTE ACCADUTI È PURAMENTE CASUALE.


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