Luca Bulgarelli
Cugini d’Italia
Ogni volta che riemergeva dai labirinti del delirio cercava con una forza
assidua e compulsiva di pulirsi gli occhialini.
Vedeva danzare intorno al letto dell’agonia volti sconosciuti e facce che
gli ricordavano giorni lontani di studi e discussioni, speranze e vittorie,
illusioni, attese e umiliazioni. Lui, il Conte, primo ministro di uno stato
piccolo e minuscolo che sgomitava, che aspirava ad avere un posto tra i
grandi della storia. Li vedeva tutti, uno per uno, turbati dalla sua morte
imminente che misuravano già la dimensione della sua assenza con la
fama smisurata che la patria gli avrebbe attribuito.
Tutti qui intorno a me, attori di questa macabra danza che vogliono
solo aggiungere qualcosa di inutile alla mia creazione, a questo regno,
nato già sconfitto, generato solo dalla decadenza di altri, frutto non
della gloria, non della vittoria ma dell’intrigo, delle porte socchiuse, dei
sorrisi ammiccanti dietro ai ventagli, ....dei segreti inconfessabili e non
delle baionette indomite, delle barricate, dei sicari di Mazzini o dei
ragazzi in camicia rossa dell’illuso condottiero al quale abbiamo rubato
anche il diritto di avere una vera patria.
Eccolo lì il generale, il capo dei bersaglieri, lui che aveva anche preso il
mio posto ma che non mi aveva rubato l’onore, che non mi aveva
offuscato la gloria. Eccolo lì La Marmora, il mio consulente, il mio
complice, fidato conoscitore di schioppi, cannoni, divisioni di
artiglieria, apparati di logistica. Per quanto li misurassimo e li
confrontassimo sulla cartina, per quanto cercassimo di dare con
l’eroismo e l’abnegazione un valore aggiunto, il calcolo era sempre
deficitario. L’impero che avevamo di fronte era immenso e smisurato,
invincibile nella sua statuaria potenza. Eccellenza, mi diceva, dobbiamo
farci degli amici e così li abbiamo spediti a morire di febbri terziarie e
colera, poveri bersaglieri, uccisi a centinaia in Crimea, uccisi più dalla
dissenteria che dalle fucilate dei russi. Ma anche questo non è stato
sufficiente, e chi mi poteva ascoltare? Non quel governo di meschini
affaristi e pizzicagnoli che aveva fatto impiccare i primi di noi agli alberi
della fregata Minerva, capeggiato da quella grassa bigotta donnetta,
tedesca anche lei per giunta. Guardatelo come si muove nervoso, sta
arrivando il re ...sussurrano. E dove è il mio amico Costantino, il fido,
il sensale, oh sì, è lui che dovrei stringere, abbracciare. Le sue notti
interminabili passate al tavolo da gioco a parlare nelle orecchie degli
altri, a bassa voce sorridendo malizioso. Che la diceria cresca, voli
sempre più in alto, che faccia accendere la cupidigia dell’imperatore.
Voglio il confessore! Voglio i sacramenti! Al diavolo la scomunica, non
c’entra la fede, mi ascolti e mi perdoni Santità, ma guardi la storia, il
futuro, abbia pietà di me che l’ho finito, io, il futuro.
Arriva il re, il caprone, riesco a parlare e a litigare con lui solo in
dialetto, non l’ha ancora imparata la lingua della nazione che vuole
comandare e che noi gli abbiamo cucito addosso come una divisa, un
costume da arlecchino ancora sporco e fumante del sangue di quelli
che per lui sono rimasti per sempre a San Martino e Solferino.
Noi ...io e te ...cugina. Gli altri sono solo fantasmi, comparse della
storia trasformate in protagonisti dalle divise, dalle corone, dalle urla
delle mischie sul campo di battaglia. Ma se non avessimo continuato
noi a perpetuare i giochi ambigui della nostra infanzia, se non avessimo
invocato le ombre che si celano nello spirito, se non ci fossimo votati a
inseguire gli stimoli della carne, la promessa della primavera e l’oblio,
non quello che Farini descrive nei suoi folli trattati sulla morfina, ma il
calore che esala dalla carne e dall’ imprevedibilità della passione,
questo re meschino siederebbe sconfitto sul trono di un regno
inesistente. Abbiamo dato un sogno, una terra, una patria a milioni che
non ce la chiedevano, che neanche la immaginavano, non sono stati gli
Avanti Savoia! decimati dalla mitraglia, non sono state le cariche
furiose degli zuavi e dei dragoni. Prima ancora di tutto questo è stato il
tuo sorriso Virginia, il tuo invito nella notte, la finzione di un sogno da
regalare ad un imperatore triste e solo nella sua potenza, alla fine
l’arma suprema è stato il profumo della tua pelle e la voragine della tua
carne ed è lì che nascono le radici della nostra nazione. Come vedi, mia
cara, ci è servito non dimenticare i giochi misteriosi che facevamo da
bambini sotto i portici dove si ammassava il riso e alla fine il contratto
di un sensale e le moine di una concubina hanno sconfitto un impero.
Tese una mano verso il comodino per posare gli occhialini, cercò di
lisciarsi la barba ma qualcuno gliel’aveva tagliata, guardò fuori dalla
finestra e vide il cielo terso di giugno, tutti i volti che sostavano intorno
al suo letto di malato si fusero in un buio impenetrabile, sussurrò
Virginia, la mano aprendosi fece cadere a terra gli occhiali, per fortuna
le lenti non si ruppero.