Pawel
In un caffè
“Allora, com'è andato quel bando di cui mi hai parlato tanto?”
“Mmh, così, mi sono preparata accuratamente, ero andata da Feltrinelli
in centro e ho preso l’ultimo libro di quel potente critico di teatro
contemporaneo. Ho osservato i suoi suggerimenti e credo che alla fine
il mio punto di vista nel riproporre il mito di Sisifo sia originale e
interessante. Ci ho messo tanto ma loro non riescono ad arrivarci.”
“Quella libreria davanti a cui vende i libri quel signore straniero?”
“Sì sì, lui c’è sempre... ma dicevo che anche se l'interpretazione di un
mito è stata proposta un paio di volte in un modo, non significa che
non si possa rivederla da un’altra angolatura che possa essere
ispirante.”
“Sì, certo, possiamo rielaborare e rielaborare e rielaborare i classici
perché il loro valore è inconfutabile ma, a parte questo, gli hai
sparato?”
“Come sparato? A chi? Non ho mica una pistola, di che cosa stai
parlando?”
“Un paio di giorni fa ci sono andato a questa libreria e l'ho incrociato
pure io quel signore. Di solito offro un spicciolo per un caffè ma
stavolta mi sono soffermato perché ho scorto che teneva in mano "La
serra" di Harold Pinter. Lo sai che lui mi piace tanto perciò l'ho
comprato, ma essendo in fretta non sono riuscito a chiedere a quel
signore come mai vendesse un testo del genere. Quella stessa sera ho
aperto “La serra” e sai cosa ho trovato?”
“Cosa?”
“Una lettera.”
“Una lettera di chi?”
“Di lui, di quello straniero.”
“Beh, e cosa diceva?”
“Ce l'ho in tasca, te la leggo.”
Volevo chiederti della tua indifferenza nei miei confronti. A te che
passi sempre di sfuggita accanto ai miei pensieri. Sono strano io o tu?
Le mie domande non ti fanno soffermare, tu scappi da me. Ed io mi
chiedo per quale motivo. Sono un essere umano come te non soltanto
nella dimensione del corpo di carne ed ossa ma anche in quella che
riguarda il pensiero e il desiderio di esprimerlo. É importante anche
per me la creazione di una nuova idea come frutto di uno scambio
dei visceri umani, della mia linfa vitale. E’ più forte di me. Non riesco
a smettere di cercarti e non riesco a capire perché tu, facendo parte di
una società colta, a cui sta a cuore il dialogo, in realtà questo dialogo
non cerchi. Apparentemente aperto, rifiuti automaticamente tutto
quello che è diverso, che varca minimamente la soglia dello standard.
Tu? Tu sei in grado di dialogare con un diverso con tutte le tue forze
intellettuali, ammettendo la parità dell’interlocutore, sei pronto ad
accogliere punti di vista diversi?
La tua indifferenza la sento come un'arma. Mi spari, mi mandi
pallottole di incompresione, mi togli il fiato non consentendomi la
voce.
Forse cerchi soltanto un'accettazione da parte dei simili a te, un
riconoscimento dagli altri ma sempre gli stessi, dimenticando che
talvolta un viaggio verso lo sconosciuto propone una creazione
nuova, fresca, sorprendente. Io sto qua, sulla strada, aperto a Te,
bramoso di Te.
“Beh, suona come un'accusa.”
“A me ha suonato come amaro dolore traboccato da un vaso di
solitudine. Il giorno sucessivo ci sono tornato e lui infatti stava sempre
lì con lo sguardo affamato del contatto con un altro. Gli ho offerto un
caffè in un bar vicino e lì mi ha raccontato la sua storia. Era un
drammaturgo a Damasco prima che dovesse scappare dalle armi vere.
Venuto qua viene ridotto a una carne tacente e semplificata dalla realtà
degli stereotipi nonostante la sua intrinseca necessità di dialogare con
un altro essere umano. E sai cosa?”
“Cosa?”
“Non avevo mai pensato che avrei potuto guardare con un altro la
stessa cosa e vederla da due prospettive talmente diverse, entrambe
valide e ricche di concetti nuovi. Stiamo lavorando insieme ed ho
deciso di indossare il casco bianco per salvare i civili dalle macerie.”