Daniela Betta
Rifiuti

“Ti RIFIUTI di vedere la realtà”, mi diceva sempre la nonna riferendosi al mio 
sguardo perso fuori dalla finestra intento a immaginare fiabe.
E  nonostante  siano  passati  parecchi  anni,  questa  è  la  frase  che  ancora  mi 
sento ripetere più spesso. Un tempo, a dire il vero, mi dava fastidio, ora non 
più  perché  in  effetti  è  proprio  così.  O  meglio,  io  la  realtà  la  vedo  eccome: 
vedo il grigiore degli sguardi lungo la strada, vedo la secca del fiume che un 
tempo era impetuoso e ora è agonizzante, vedo la violenza tutt’intorno, anche 
quando faccio la fila al supermercato – ma a onor del vero la fila in posta è 
sempre la peggiore. Vedo che non ci sono più i nidi di rondine sotto il tetto e 
che  le  albicocche  hanno  un  sapore  indefinito,  acquoso  e  insignificante. 
Eppure mi rifiuto di vedere tutto questo, deliberatamente. Ogni giorno scelgo 
di rendere più vividi i colori del Secchia e degli alberi che ci si riflettono, mi 
piace intravedere un sorriso dietro un viso incupito dalla quotidianità, adoro 
aggiungere  una  nota  acidula  alla  polpa  di  per  sé  già  zuccherina  della  frutta. 
Mescolo  colori,  altero  sapori,  aggiungo  profumi  e  con  maestria  alchemica 
modello la MIA realtà. Per gioco, pensano alcuni, per sopravvivenza dico io.
Ripenso  a  tutte  queste  cose  mentre  svuoto  la  casa  della  nonna  e  devo 
decidere cosa tenere e cosa gettare. Un sacco di ricordi e un sacco di RIFIUTI 
che  non  vorrei  mai  dover  smaltire.  Vecchie  cartoline  da  tutto  il  mondo:  ma 
che gente conosceva la nonna??? Non era così scontato a quei tempi volarsene 
in  Cile  o  in  Giappone.  Due  caraffe  di  vetro  che  sembrano  pezzi  di  design 
ultramoderno e che mia sorella ha già battezzato come “rifiuti”. Perché non le 
ho  mai  notate  prima?  Queste  verranno  a  casa  con  me.  E  poi  c’è  il  mitico 
macinacaffè  elettrico  dalle  forme  arrotondate  e  dai  colori  pastello, 
rigorosamente  verde  acqua  e  crema,  che  in  realtà  ho  sempre  visto  macinare 
solo  zucchero  –  e  zucchero  bianco,  niente  menate  salutiste  –  per  ricavarne 
purissimo zucchero a velo da spolverare sui biscotti all’arancia che facevamo 
insieme. Ricordo ancora il profumo di quei biscotti che riempiva la cucina, i 
primi che abbia mai impastato. 
“Non vorrai mica tenerlo?!”
Le parole di mia sorella riecheggiano fragorose nella stanza ormai semivuota.
“Perché non dovrei? In fondo funziona ancora.” 
Non ne fanno più di oggetti così duraturi, adesso è tutto un usa­e­getta, tutto 
una perdita di tempo, di valore, di vita. Tutto fatto per essere dimenticato e 
smaltito  in  fretta,  così,  senza  lasciare  traccia.  E  per  fortuna  che  ora  c’è  un 
bidone per qualsiasi cosa, che per un’ecologista come me non è cosa da poco: 
la  plastica,  il  vetro,  la  carta,  le  lattine,  le  potature,  l’organico,  i  rifiuti 
elettronici, i farmaci... Ma il bidone dei ricordi dov’è? Forse vanno nell’umido, 
si sa mai che ci scappi pure un pezzo di cuore mentre li buttiamo via. Oppure 
con i farmaci? Perché il rischio di contaminazione con certi ricordi è elevato... 
scegliete bene il vostro bidone, io so già dove metterò i miei. Di sicuro non tra 
i rifiuti.


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